L’allenamento per la corsa di endurance in condizioni di elevata difficoltà (parte1)
di Piero Colangelo
Agli inizi degli anni novanta, quando cominciavano a prendere corpo le prime ultramaratone corse in condizioni di particolari difficoltà, quelle che gli americani chiamano “trail running adventure”, forte era lo scetticismo degli stessi maratoneti e tecnici del settore che le identificarono come “gare massacranti di scarso significato tecnico ed agonistico” o, addirittura, delle “autentiche follie”.
Era ancora lontana la convinzione che il corridore si trovasse di fronte a prove di resistenza molto tecniche che richiedevano una forte evoluzione del settore. Evoluzione che negli ultimi anni ha mostrato una forte accelerazione sul lato della ricerca scientifica e medica (non a caso lo skyrunner viene definito l’atleta più studiato), dopo un decennio di scarso interesse determinato soprattutto dalla mancata presenza delle ultramaratone nel panorama delle specialità olimpiche.
Correre una gara di endurance in condizioni di difficoltà significa soprattutto affrontare un’impresa che presenta situazioni a volte sconosciute ed impreviste e che pone il corridore nell’esaltante condizione di sfidare in primo luogo se stesso, inducendolo a toccare sino in fondo i propri limiti psicofisici.
Rispetto alle gare di maratona ed ultramaratona tradizionale, la molla che spinge i corridori di qualunque età a partecipare in numero sempre maggiore a questo tipo di competizioni, non è rappresentata soltanto dalla spinta emotiva di realizzare una certa prestazione, che per alcuni podisti amatori consiste solamente nel tagliare il traguardo, ma svolgono un ruolo altrettanto fondamentale la passione per l’avventura e il desiderio di conoscere meglio se stessi mettendosi alla prova in situazioni oggettivamente proibitive.
Si tratta di competizioni altamente selettive che si rivolgono ad atleti ben preparati che possono vantare una militanza consolidata negli anni nella corsa di endurance, nelle quali il livello prestativo, per quanto fondamentale, non rappresenta l’unico elemento che contraddistingue le qualità del supermaratoneta, poiché si rivelano d’importanza altrettanto primaria le qualità di resistenza alla fatica, ai disagi e persino alle privazioni, che le competizioni più dure a volte impongono. Basti pensare che il fratello di Mohamad Lahcen (vincitore delle ultime edizioni), Mohamad Ahansal, quando nel 1998 vinse la sua Marathon des Sables ( 16h, 22’, 29”), poteva vantare soltanto un personale di 2h,41’ alla maratona di Marrakech ed un ritiro a quella di Casablanca, ma alla MdS sorprese tutti per il suo stile di corsa assolutamente redditizio sia sulle pietre che sulle dune ed una capacità si sopportare la fatica e le insidie del caldo non comuni.
L’ultramaratoneta dovrà dimostrare una propensione non comune a correre in condizioni di difficoltà per diverse ore al giorno e per alcuni giorni senza avvertire un eccessivo stress sia a livello psicologico che fisiologico e mantenere una discreta azione di corsa anche quando sopraggiunge la stanchezza. A comandare i nostri muscoli è soprattutto il nostro cervello.
Le capacità di resistenza che si richiedono vanno pertanto interpretate in senso generale e non solo circoscritte al solo aspetto fisiologico e funzionale; la preparazione del supermaratoneta dovrà migliorare il corridore anche sotto l’aspetto mentale (resistenza mentale), affinando le sue capacità di mantenere a lungo la concentrazione ed a conservare il controllo delle proprie emozioni nei momenti di maggiore difficoltà.
Coloro che hanno in animo di affrontare questo tipo d’impegno dovrebbero aver completato alcune maratone ed ultramaratone senza avvertire particolari segni di stanchezza, difficile che possa sopportare i carichi della preparazione e terminare con successo la prova chi non dimostra una particolare predisposizione agli sforzi prolungati.
E’ bene che rinunci chi incorre di frequente in problemi all’apparato locomotore, quali lombosciatalgie o presenti patologie alle ginocchia, come l’usura delle cartilagini, e coloro che hanno subito in tempi relativamente recenti fratture da stress.
E’ notorio come la corsa di lunga durata si avvicini maggiormente alle caratteristiche biomeccaniche dell’uomo, per un essere umano si dimostra più congeniale svolgere un lavoro prolungato a ritmi non elevati, piuttosto che un lavoro meno lungo ma più intenso.
Pertanto, chi affronta le ultra maratone e le gare di endurance estremo in particolare, dovrà imparare ad utilizzare le sue capacità di correre in equilibrio aerobico, gestendo in modo certosino il proprio patrimonio energetico migliore. La gara andrà affrontata sempre sottoritmo con l’obiettivo primario di evitare un anticipato esaurimento del glicogeno muscolare attraverso l’utilizzo di una sua bassa percentuale rispetto agli acidi grassi. Il corridore di resistenza ha conosciuto a proprie spese come il passaggio completo al cosiddetto combustibile di riserva, ovvero i grassi, oltre a non determinare lo stesso rendimento calorico, comporta un accumulo di sostanze residue nel sangue, ad esempio i corpi chetonici, che finiscono per rendere la macchina umana meno efficiente.
Perché la meccanica di corsa sia quanto più economica possibile è fondamentale che il passo del supermaratoneta sia piuttosto radente al terreno, con i piedi che si sollevano poco in modo da determinare una ridotta sollecitazione delle strutture degli arti inferiori.
Chi manifesta una corsa tendente a spingere il corpo più in alto che in avanti (corsa saltellante) dovrà, con l’aiuto del proprio preparatore, correggere la propria azione di corsa, rendendola più confacente alle esigenze che la corsa di resistenza richiede.
Si dimostrano maggiormente predisposti al passaggio da corridore di resistenza classico a skyrunner e desertrunner quel tipo di maratoneta che ama correre per il solo gusto di stare tanto tempo sulle gambe, senza prestare molta attenzione al cronometro. Egli ha acquisito nel tempo una notevole sensibilità nello gestire al meglio le proprie energie, sa interpretare come pochi le sensazioni del momento e difficilmente cade nella trappola di voler mantenere un certo ritmo ad ogni costo con la inevitabile conseguenza di andare incontro a crisi da abbandono durante l’allenamento o, peggio ancora, in gara.
Per coloro che si cimentano di sovente in gare di endurance, la preparazione per una trail running adventure può rappresentare l’occasione per trovare nuove motivazioni, senza contare che rappresenta l’imperdibile occasione per migliorare le capacità motorie, realizzando così un accrescimento delle capacità prestative.
I messaggi pubblicitari che promuovono queste competizioni a volte non mettono nel dovuto risalto le reali difficoltà a cui va incontro l’atleta. Il corridore che intende immergersi in questa avventura non può prescinde da una accurata preparazione atletica, un equipaggiamento idoneo ed una conoscenza approfondita delle problematiche legate al clima, alla quota ed alle caratteristiche del terreno.
Non capita di rado di ritrovare ai nastri di partenza corridori non adeguatamente preparati dal punto di vista atletico e malamente addestrati ed equipaggiati ad affrontare le insidie del percorso. Il tutto si riassume in un’ amplificazione degli sforzi da parte del corridore per raggiungere il traguardo.
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